Esiste ancora l'amicizia nel
mondo contemporaneo?
Ad una prima osservazione sembrerebbe di no.
Ad una prima osservazione sembrerebbe di no.
Il mondo degli affari è dominato dal
mercato e dall'utile economico. La politica dalla competizione
per il potere. In entrambi i casi c'è ben poco spazio
per rapporti personali sinceri. Il mondo moderno, inoltre,
ci impone un continuo mutamento. Quando cambiamo residenza
e lavoro finiamo anche per lasciare i vecchi amici. Promettiamo
di rivederci ma, poi, sorgono in noi nuovi interessi, nuovi
bisogni, abbiamo nuovi incontri.
Nessuno può restare immobile e guardarsi
indietro. In Italia, la parola amicizia ha assunto addirittura
un significato negativo, di privilegio, di raccomandazione.
Per trovare un posto di lavoro, per essere ammesso all'ospedale,
per avere una casa in affitto, occorrono delle raccomandazioni,
delle amicizie. Se segui la procedura regolare, burocratica,
non ottieni nulla. L'amicizia è il mezzo per passare
davanti agli altri, per eludere la norma.
La parola amicizia ha finito, così,
per indicare i criteri particolaristici, i privilegi, grandi
e piccoli, in un sistema che, se fosse giusto, dovrebbe essere
invece retto da criteri universalistici e di merito. Il mondo
moderno (Vedi la notissima teoria
di Talcott Parsons, Il sistema sociale, Comunità,
Milano 1965) è caratterizzato dal passaggio
dai ruoli particolaristici, ascritti, ed emotivi a ruoli universalistici,
acquisiti e neutrali. L'amicizia appare, perciò, come
un anacronismo e, per di più, fonte di ingiustizia.
In una società giusta le posizioni vanno attribuite
non in base all'amicizia, ma al merito valutato in modo imparziale.
I servizi sociali devono erogare le loro prestazioni non ai
raccomandati, ma a tutti. Un sistema amministrativo infiltrato
dall'amicizia è clientelare, mafioso, ingiusto. Molti,
perciò, pensano che l'amicizia sia una sopravvivenza
del passato. Qualcosa come la lealtà feudale, oppure
la magia o il folklore. Secondo costoro l'amicizia, col passare
degli anni, perde di importanza, ed il suo destino è di
scomparire per lasciare il posto a rapporti impersonali ed
obiettivi. Altri ritengono che l'amicizia riuscirà a
sopravvivere, ma confinata accuratamente alla sfera dell'intimo,
senza alcuna contaminazione con gli affari, i pubblici uffici
e la politica.
La tesi di questo libro è che, nonostante
questa prima impressione catastrofica, le cose non stiano
affatto così. L'amicizia continua ad essere una componente
essenziale della nostra vita. Probabilmente nella stessa misura
del mondo antico (il rinnovato interesse
per questo argomento, anche in Italia, è testimoniato
dal fatto che il v Congresso internazionale di studi antropologici
siciliani - Palermo, 24-26 novembre 1983 - ha scelto come tema: L'amicizia
e le amicizie). Anche la sua struttura essenziale,
ciò che la distingue da tutti gli altri tipi di relazione
interpersonale, non è cambiata. Cinque secoli prima
di Cristo e in una tradizione culturale. totalmente diversa,
come quella cinese, Confucio elencava cinque tipi fondamentali
di relazioni interpersonali. La relazione fra imperatore e
suddito, quella fra padre e figlio, la relazione fra uomo e
donna e quella fra fratello maggiore e fratello minore. Tutti
e quattro questi tipi di relazione sono gerarchici, fra superiore
ed inferiore.
Esiste però una quinta relazione che
non è gerarchica, ma avviene fra uguali: è l'amicizia.
Certo, nelle diverse epoche e nelle diverse società,
l'amicizia si presenta in forme diverse. In una società guerriera
sarà essenzialmente una fratellanza d'armi. È questa
l'immagine dell'amicizia che ci hanno trasmesso i poemi dell'antichità:
Patroclo e Achille, Eurialo e Niso, Enea e Pallante. Venendo
verso l'epoca moderna troviamo amicizie in cui sono più importanti
la cultura e la politica. Dante, Guido Cavalcanti e Lapo
Gianni erano tre poeti della Firenze del '200. Michel de Montaigne
e Etienne de La Boétie erano due scrittori della Francia
del '500. Ancora più recentemente troviamo l'amicizia
fra Marx ed Engels e quella fra Max Horkheimer e Theodor
Adorno. La prima ha influenzato tutta la politica contemporanea,
la seconda il pensiero sociologico.
Non dobbiamo, però, farci troppo fuorviare
dalle differenze. Certo, queste ci sono, ma esiste anche
qualcosa di comune che ci consente, appunto, di parlare di
amicizia in tutti questi casi. Per identificare ciò che è caratteristico
del fenomeno che vogliamo studiare, non è tanto sulla
diversità che dobbiamo soffermarci, quanto su questi
elementi comuni. Ci colpisce allora, per prima cosa, questo
fatto. La parola amicizia non ha un solo significato, ma
diversi. E non solo da oggi. Lo aveva rilevato già duemila
anni fa Aristotele che aveva appunto cercato di distinguere
diversi tipi di amicizia per identificare, fra essi, la «vera» amicizia.
Per Aristotele la distinzione più importante è quella
fra amicizia fondata sull'utile e quella fondata sulla virtù,
l'unica che merita il nome di vera amicizia (Aristotele, Etica
Nicomachea, Laterza, Bari 1979, pag. 195 e segg.).
Anche nella Grecia antica, perciò,
il legame che univa due soci di affari non era l'amicizia,
ma l'interesse a far prosperare la loro impresa. Anche allora
l'amicizia fra i politici era, spesso, soltanto una forma
dell'utile politico. Vediamo, allora, brevemente quali sono
i significati più comuni
di questa parola. Ci accorgeremo che, nella maggioranza dei
casi, la parola amicizia ha ben poco a che fare con quello
che noi intendiamo quando pensiamo ad un vero amico.
Primo significato: i conoscenti. La maggior parte delle
persone che consideriamo nostre amiche sono, in realtà,
solo dei conoscenti. Persone, cioè, che non ci sono
lontane come la totalità amorfa degli altri. Sappiamo
che cosa pensano, che problemi hanno, li sentiamo affini,
ci rivolgiamo a loro per aiuto e li aiutiamo volentieri.
Abbiamo con loro buoni rapporti. Però non abbiamo
una profonda confidenza, non raccontiamo loro le nostre ansie
più segrete. Vedendoli non ci sentiamo felici, non
ci viene spontaneo di sorridere. Se hanno successo, o ricevono
un premio, o hanno un colpo di fortuna, non ci sentiamo felici
come se fosse successo a noi. In molte amicizie di questo
tipo c'è addirittura invidia, maldicenza, antagonismo.
I rapporti ostentatamente cordiali, talvolta, coprono una
realtà conflittuale, o una profonda ambivalenza.
Certo, queste persone non ci sono estranee, ci sono anzi
vicine. Ma perché dobbiamo chiamare amicizia relazioni
affettive così diverse? Siamo di fronte ad un uso
improprio del termine. Lo era nel passato e lo è oggi.
Secondo significato: solidarietà collettiva. Occorre
inoltre distinguere, così come avevano già fatto
gli antichi, l'amicizia dalla solidarietà (su
questo argomento esiste una analisi molto bella compiuta
da Luigi Lombardi Vallauri, Amicizia, carità,
diritto, Giuffrè, Milano 1974, pag. 15 e
segg.). In
questo secondo senso, amici sono tutti coloro che stanno
dalla nostra parte, per esempio in una guerra. Da un lato
gli amici, dall'altro i nemici. Questo tipo di solidarietà non
ha nulla di personale. Colui che porta la mia stessa divisa è amico;
ma di lui non so nulla. A questa stessa categoria appartengono
le forme di solidarietà che si costituiscono nelle
sette, nei partiti e nelle chiese. I cristiani si chiamano
fra loro fratelli o amici. I socialisti compagni, i fascisti
camerati. Siamo sempre, però, in presenza di legami
collettivi, non di rapporti rigorosamente personali.
Terzo significato: relazioni
di ruolo. È la classe
delle relazioni di tipo personale, ma basate sul ruolo sociale.
Abbiamo qui l'amicizia secondo l'utile, sia quella dei soci
in affari, sia quella dei politici. Questo tipo di legami
ha ben poco di affettivo, e dura finché dura l'utile
da salvaguardare. Vi troviamo, inoltre, molte relazioni professionali,
fra colleghi di lavoro e fra vicini di casa.
Quarto significato: simpatia e amichevolezza. Arriviamo,
infine, alla categoria costituita dalle persone con cui ci
troviamo bene, che ci sono simpatiche, che ammiriamo. Anche
in questo caso, però, occorre essere prudenti ad usare
l'espressione amicizia. Spesso si tratta di stati emotivi
labili, superficiali.
Cosa dobbiamo intendere, allora, per amicizia?
Intuitivamente questa parola ci fa venir in mente un sentimento
sereno, limpido, fatto di fiducia, di confidenza. Anche le
ricerche empiriche mostrano che la stragrande maggioranza
della gente la pensa press'a poco nello stesso modo (vedi
P. Babin, Friendship, Herder e Herder, New York 1967;
M. Brenton, Friendship, Stein and Day, New York
1974; G.A. Allan, A Sociology of Friendship and Kinship, George
Allen e Unwin, London 1979.).
In un libro recente J.M. Reisman, dopo aver
esaminato tutta l'immensa letteratura sull'argomento, ha
dato la seguente definizione dell'amicizia: «Amico è colui
a cui piace e che desidera fare del bene ad un altro e che
ritiene che i suoi sentimenti siano ricambiati (John
M. Reisman, Anatomy
of Friendship, Irvington Publishers, New York 1979.).
Con questa definizione Reisman colloca l'amicizia nel mondo
dei sentimenti altruistici e sinceri. Non è possibile
alcuna confusione con l'interesse, il calcolo ed il potere.
Semmai il difetto della definizione di Reisman è di
essere troppo generica. Anche una madre desidera fare del
bene al suo bambino e ritiene che i suoi sentimenti siano
ricambiati. Lo stesso avviene nel rapporto fra innamorati,
fra coniugi che si amano, o fra fratelli, se i fratelli si
vogliono bene. La definizione di Reisman riguarda, in generale,
l'amore. Amare, scriveva San Tommaso d'Aquino, è voler
rendere felice l'altro.
Il percorso fatto è molto importante. Nel linguaggio
corrente la parola amicizia ha numerosi significati. Sta
ad indicare il socio, il conoscente, la persona simpatica,
il vicino, il collega, tutti coloro che ci sono prossimi.
C'è però oggi, come nel più remoto passato,
un altro significato, quello di amico personale a cui vogliamo
bene e che ci vuole bene. Quest'ultimo tipo di amicizia appartiene
ad una classe più ristretta di relazioni interpersonali:
le relazioni di amore. Quando pensiamo ai nostri amici più cari,
alla vera amicizia, pensiamo ad una forma di amore fra persone. È facile
distinguere l'amicizia dalle relazioni sociali più superficiali,
dai rapporti utilitaristici o da quelli fondati su ruoli
professionali.
Il vero problema, quello che, finora, non è stato
ancora affrontato, è come distinguerla dalle altre
forme di amore fra persone. Per esempio, in che cosa
differisce l'amicizia dall'innamoramento? Ci sono numerosi
autori che ritengono questa differenza minima, o poco rilevante. È più facile
distinguere l'amicizia dall'amore materno, o da quello paterno,
o dall'affetto tra fratelli. Anche in questo caso, però,
vi sono dei caratteri in comune. Noi diciamo che quello è un
nostro «amico fraterno». Talvolta nell'amicizia
si esprime un atteggiamento paterno o filiale. Per esempio
Friedrich Nietzsche cercava in Wagner una figura paterna. È amicizia
questa? Oppure l'amicizia deve essere reciproca? Vi sono
anche molti rapporti di amore ambivalenti, dove ciascuno
cerca di dominare l'altro, di tenerlo legato a sé. La
vita quotidiana è intrisa di questi sentimenti meschini.
L'amore dell'amicizia è di questo genere? Possiamo cercare
di manipolare il nostro amico? O, invece, l'amore dell'amicizia è di
tipo particolare e deve essere limpido, sempre limpido perché,
in caso contrario, l'amicizia, semplicemente, svanisce? Sono
queste le domande a cui dobbiamo rispondere per identificare
il tipo di amore specifico dell'amicizia.
È questo l'argomento della presente discussione. Ci
aspetta, perciò, una analisi attenta ai particolari,
per identificare quello che è esclusivo dell'amicizia,
soltanto suo.
Mi sembra opportuno incominciare subito questa
analisi, per entrare nel vivo del problema. E lo farei confrontando
l'amicizia con una forma di amore con cui, spesso, viene
confusa (per
esempio il già citato J.M. Reisman e, ancor più gravemente,
A. Douglas, Friends: a trae story of male love, Coward,
McCann & Geoghegan, New York 1973. Lo stesso avviene
nel caso del bel libro di Robert Brain, Friends and
Lovers, Basic Brooks, New York 1976.):
l'innamoramento. Sgombreremo il campo mostrando che sono
due fenomeni diversissimi, addirittura opposti. L'innamoramento è un
fatto, un accadimento, che ha un inizio definito. Alla sua
origine c'è lo stato nascente (Francesco
Alberoni, Innamoramento e amore, Garzanti, Milano
1979),
una folgorazione, una rivelazione. L'amicizia, invece, non
diventa se stessa con una rivelazione unica iniziale, ma
con una serie di incontri e di approfondimenti successivi.
Un'altra differenza fra innamoramento e amicizia è che
non esiste un innamoramento vero ed uno meno vero. Non ci
sono gradi di innamoramento:
moltissimo, molto, abbastanza, un poco. Se dico «sono
innamorato», dico tutto. L'innamoramento segue la legge
del tutto o del nulla. L'amicizia, invece, ha tante forme
e tanti gradi. Va da un minimo verso un massimo di perfezione.
L'amicizia può essere piccola, solo un moto dell'animo,
oppure grande, grandissima. L'innamoramento è perfetto
fin dall'inizio. L'amicizia, invece, muove verso il di più.
Quando parliamo di amicizia abbiamo presente sempre anche
un ideale, una utopia.
Continuiamo la nostra analisi. L'innamoramento è una
passione. In tedesco passione si dice Leidenschaft. Leiden è la
sofferenza. Nella passione c'è, infatti, sempre anche
un soffrire. L'innamoramento è estasi, ma anche tormento.
L'amicizia, invece, ha orrore della sofferenza. Quando può la
evita. Gli amici si cercano per stare bene insieme. Se non
ci riescono, tendono a lasciarsi, a mettere un po' di distanza
fra di loro. Un'altra fondamentale differenza è che
io posso innamorarmi di qualcuno e non essere corrisposto.
Non per questo cesso di essere innamorato. L'innamoramento
nasce senza reciprocità e ne va alla ricerca. L'amicizia,
invece, richiede sempre, mi pare, una qualche reciprocità.
Io non resto amico di uno che non è mio amico. Nell'innamoramento
costa sempre una terribile fatica lasciare chi si ama. Per
liberarmi di un innamoramento non corrisposto, io devo esercitare
una violenza su me stesso, odiare l'altro. Ma l'odio per
l'amato è, a sua volta, una sofferenza, la più atroce
delle sofferenze. Nell'amicizia, invece, non c'è spazio
per l'odio. Se io odio un mio amico non sono più suo
amico, l'amicizia è finita. Nell'innamoramento la persona
amata è trasfigurata. È ad
un tempo lei stessa e più che lei stessa. L'amato è duplice:
il concretissimo essere davanti a me e la divinità che
incorpora in sé tutto il possibile del mondo, tutto
ciò che io proietto in lui. L'amore è rivelazione
di qualcosa che ci trascende. La preghiera verso l'amato è un
grido di disperazione. L'amico, invece, non è trasfigurato.
Dall'amico mi aspetto che condivida l'immagine che ho di
un me stesso o, perlomeno, che non se ne allontani troppo.
Anche se la sua valutazione è positiva, non deve essere
esagerata. Se è troppo favorevole mi dà l'impressione
di adulazione. Se è troppo negativa, se si allontana
troppo da ciò che io penso di me, allora non mi rende
giustizia e, quindi, contraddice una esigenza base dell'amicizia.
I due amici, cioè, devono avere delle immagini reciproche
simili. Non identiche, naturalmente, perché allora
non ci sarebbe nulla da scoprire, ma senza eccessive dissonanze.
Da un amico, perciò, io mi aspetto che non mi fraintenda.
Tutti mi possono fraintendere, ma non un amico. Se un amico
mi fraintende, è finita
Si può dunque restare innamorati di una persona di
cui non sappiamo se ci ha amato o ci ha ingannato, di cui
non sappiamo se fosse buona o cattiva, se avesse un animo
nobile o meschino. L'amore si manifesta proprio in questo
domandarsi come era. Anche dopo innumerevoli anni, l'amore
continua ad interrogarsi nello stesso modo, sfoglia la margherita.
Dal primo istante in cui è apparso, si pone in continuazione
una domanda a cui solo la presenza della persona amata che
dice di sì, dà una risposta. Finita la presenza,
cessa la risposta, e la domanda ritorna continua, ossessiva,
angosciosa. Non puoi dire, come vorrebbe la ragione, «che
t'importa?». Questa è l'opacità dell'amore
che ama qualcosa che rimane sempre inafferrabile, perché il
suo oggetto è un divenire insieme, un dover essere.
Questa è la miseria dell'amore, che può solo
chiedere e non può smettere di chiedere, anche quando
l'altro è indifferente, od ostile. Questa è l'ingiustizia
dell'amore che non conosce merito e demerito, e non premia
i buoni e non punisce i malvagi. L'amore è sublime
e miserabile, eroico e stupido, mai giusto. Il registro della
giustizia non .è l'amore, è l'amicizia.